In pensione nell'era digitale
È sorprendente come, parlando con amici di una vita, emerga il tema della pensione molto spesso. ‘Ho iniziato a lavorare a quindici anni’, affermano con un’aria quasi compiaciuta, come se gli anni passati a sudare in fabbrica fossero una medaglia al valore, quasi sorpresi di aver raggiunto questo traguardo che un tempo sembrava così lontano. Eppure, la realtà ci mostra che il tempo, anche quello dedicato al lavoro, scorre inesorabile.
Il mito della pensione come traguardo ambito è un’illusione alimentata da chi ancora non l’ha raggiunta. La realtà è ben diversa: il pensionamento, lungi dall’essere un punto di arrivo gratificante, può rivelarsi un vuoto incolmabile, soprattutto per chi è appassionato del proprio lavoro. Privare un lavoratore appassionato al suo lavoro è come togliere l’aria a un palloncino: si svuota di significato e di scopo.
Al contrario, per coloro che detestano il proprio impiego, la pensione rappresenta una liberazione, ma spesso non coincide con la realizzazione di nuovi progetti.
In definitiva, l’età della pensione incide profondamente sulla qualità della vita successiva: andare in pensione a 59 anni è un’esperienza nettamente diversa rispetto a quella di chi lo fa a 70 o continua a lavorare oltre i limiti di età previsti.
La pensione, tradizionalmente vista come un periodo di riposo e quiete, si scontra oggi con una cultura che esalta il costante movimento e la sovrabbondanza di stimoli. Mentre un tempo la pensione rappresentava un’opportunità per rallentare i ritmi e dedicarsi a sé stessi, ora sembra quasi un anacronismo in un mondo che non si ferma mai.
Pensione o non pensione
C’è una mancanza di voglia di darsi da fare in questo periodo, una mancanza di forza vitale nel mondo. Molte delle cose che una volta davano alla vita della persona un vero significato sono ora trattate con sarcasmo e disprezzo: l’università è uno spreco di denaro, il lavoro è uno spreco di vita, sposarsi è solo un pezzo di carta, avere figli è un incubo, la famiglia è un peso, gli hobby sono un modo per riempire il tempo, esprimersi seriamente fa orrore, uscire di casa è estenuante, la religione è per gli idioti, la lista potrebbe continuare. Se lo vedi in questa prospettiva, alla fine tutto diventa una presa in giro.
La mia infanzia risale agli anni ’70 del secolo scorso (già scriverlo dà i brividi), periodo dell’austerity e delle immagini in bianco e nero.
Ho vissuto un’epoca di grande stabilità lavorativa, spesso con un unico datore di lavoro per tutta la vita. Il lavoro era spesso visto come una vocazione e un mezzo per garantire un futuro sicuro alla famiglia. La pensione era considerata un diritto acquisito e un momento per godersi i frutti di una vita di sacrifici.
Oggi invece siamo come commensali viziati, che di fronte a un’infinita varietà di pietanze, finiamo per perdere l’appetito. Internet ci offre un banchetto continuo di distrazioni, ma se ci abbandoniamo a questo eccesso, rischiamo di soffocare sotto il peso di un’indigestione informativa, perdendo di vista il gusto delle cose semplici.
Nei social poi, tutto è estremamente sexy, ma nessuno può farsi vedere arrapato. Ci dobbiamo comportare come se nulla fosse per non offendere nessuno, così questa unione dei social e la “cancel culture” hanno creato la più noiosa cultura mai esistita.
Andare in pensione per annoiarsi non me l’aspettavo proprio. Saremo capaci di dire la verità?